Il medico è in colpa quando la sua condotta è difforme da quella che avrebbe tenuto un ideale di professionista “medio”, ovverosia non un professionista “mediocre”, bensì un professionista “bravo”, vale a dire serio, preparato, zelante ed efficiente
La Corte di Cassazione torna a soffermarsi sulla condotta dovuta dal medico in caso di paziente presentante sintomi aspecifici (sul punto, vedi anche il mio precedente post Sintomi aspecifici del paziente e diagnosi differenziale) con una ordinanza che fa il punto sul tema della diligenza esigibile dal professionista ai sensi dell’art. 1176, II comma c.c..
Il caso
Nel 2001 un signore si rivolge al Pronto Soccorso a seguito di uno svenimento: il medico di turno gli prescrive unicamente una visita cardiologica ed il controllo della pressione sanguigna.
Cinque giorni dopo, il paziente torna nel medesimo ospedale a causa di una persistente cefalea; anche in questo caso, il medico del Pronto Soccorso che lo visita non gli prescrive alcun accertamento diagnostico, limitando sia prescrivergli l’assunzione del farmaco Laroxil.
Passano altre due settimane ed il paziente è colpito da emiparesi sinistra: questa volta vene sottoposto a TAC del cranio, che rivela la presenza di un ematoma intracranico dovuto alla rottura di un aneurisma.
Inutile il successivo intervento di evacuazione dell’ematoma e di chiusura della lesione che l’aveva provocato: il paziente decederà poco dopo.
I familiari procedono dunque in giudizio per il risarcimento del danno, allegando che se il paziente fosse stato tempestivamente operato, non si sarebbe formato l’ematoma che, provocando una pressione intracranica, causò il coma e la morte del paziente.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettano le domande sulla base della considerazione che nessuna colpa poteva essere addebitata ai medici, che visitarono “con zelo” il paziente e che non avrebbero potuto sospettare l’aneurisma cerebrale, posto che il paziente non presentava sintomi specifici che deponessero univocamente per la presenza di tale patologia.
La sentenza viene ora impugnata in Cassazione.
La colpa civile è la deviazione da una regola di condotta
La Suprema Corte parte dalla considerazione che la colpa, sotto il profilo civilistico, consiste nella deviazione da una regola di condotta.
La “regola di condotta” di riferimento non consiste soltanto una norma giuridica, ma anche in una regola di comune prudenza o nelle cosiddette “leggi dell’arte”.
La norma di riferimento per stabilire se l’autore di un illecito abbia o meno violato norme giuridiche o di comune prudenza è l’art. 1176 c.c., che impone al debitore di adempiere la propria obbligazione con diligenza. La diligenza di cui all’art. 1176 c.c. è dunque nozione che rappresenta l’inverso logico della nozione di colpa: è in colpa chi non è stato diligente, mentre chi tiene una condotta diligente non può essere ritenuto in colpa.
Il medico diligente è il medico bravo
Ma le norme di comune prudenza, ci ricorda la Cassazione, non sono uguali per tutti: nel caso di obbligazioni professionali, il parametro di riferimento per valutare se vi sia stato inadempimento del professionista, incluso il medico, è quello del secondo comma dell’art. 1176 c.c., ovverosia la condotta che avrebbe tenuto nelle medesime circostanze un ideale “professionista medio”.
Precisa la Cassazione:
“l’ideale di professionista “medio” di cui all’art. 1176, comma 2, c.c., nella giurisprudenza di questa Corte, non è un professionista “mediocre”, ma un professionista “bravo”: ovvero serio, preparato, zelante, efficiente”.
In merito al diverso grado di diligenza in concreto esigibile dal medico vedi il mio precedente post La diligenza del medico? Varia in base al grado di specializzazione e di efficienza della struttura.
Ma come si comporta il medico “bravo” di fronte ad un paziente con sintomi aspecifici?
Secondo la Cassazione, quando si trova al cospetto a sintomi aspecifici, potenzialmente ascrivibili a malattie diverse o comunque di difficile interpretazione,
“il medico non può acquietarsi in una scettica epoché, sospendendo il giudizio ed attendendo il corso degli eventi. Deve, al contrario, formulare una serie di alternative ipotesi diagnostiche, verificandone poi una per una la correttezza; oppure almeno segnalare al paziente, nelle dovute forme richieste dall’equilibrio psicologico di quest’ultimo, tutti i possibili significati della sintomatologia rilevata”.
Va dunque ritenuto in colpa il medico che, a fronte di persistere di sintomi o di indici diagnostici dei quali non è agevole intuire la causa,
“non solo non compia ogni sforzo per risalire, anche procedendo per tentativi, alla causa reale del sintomo, ma per di più taccia al paziente i significati di esso.”
Per concludere
E’ stata la stessa Corte d’Appello, nella sentenza impugnata, ad accertare che il paziente presentava sintomi generici, che non indicavano chiaramente un evento emorragico cerebrale.
Dove la Corte d’Appello ha errato in diritto, dice la Cassazione, è nelle conclusioni: proprio l’accertamento dell’aspecificità dei sintomi del paziente non avrebbe dovuto condurre, in sé considerato, all’esclusione della colpa dei medici che non li avevano correttamente inquadrati bensì, a contrario, all’accertamento della negligenza degli stessi medici per non aver proceduto a sottoporre il paziente a più approfonditi esami diagnostici.
La sentenza della Corte d’Appello è stata dunque rinviata ad altra sezione della stessa Corte per una nuova pronuncia alla luce del seguente principio di diritto:
“Tiene una condotta colposa il medico che, dinanzi a sintomi aspecifici, non prenda scrupolosamente in considerazione tutti i loro possibili significati, ma senza alcun approfondimento si limiti a far propria una sola tra le molteplici e non implausibili diagnosi.”
In sintesi
La Cassazione conferma con la pronuncia in commento la sua opinione in tema di valutazione dei sintomi aspecifici del paziente, ovverosia che il medico “bravo” non può semplicemente arrestarsi di fronte al dubbio, ma deve procedere alla cd. diagnosi differenziale, vale a dire procedere agli accertamenti necessari per giungere alla diagnosi corretta – beninteso, tenendo conto della eventuale urgenza e delle condizioni di salute del paziente – oppure affidare il paziente a medici specialisti una valutazione più approfondita del caso. Sul punto, si veda anche il mio precedente post Sintomi aspecifici del paziente e diagnosi differenziale.
L’elemento aggiuntivo dell’ordinanza in commento consiste nel ribadire l’onere di comunicazione piena col paziente sul significato e dubbi della diagnosi. In mancanza, il medico si espone a responsabilità professionale.
Ci aggiorniamo la prossima settimana con un altro, interessante argomento!
Nel frattempo, resta collegato o iscriviti alla newsletter per non perdere i prossimi aggiornamenti.
A presto!
LEGGI I DOCUMENTI
Cassazione Civile, Sez. III, ord. n. 30999 del 30 novembre 2018