Il consenso informato in situazioni di urgenza

Non è rilevante penalmente la condotta del medico che, in situazione d’urgenza, sottoponga il paziente a trattamento terapeutico in relazione al quale non sia stato prestato il consenso informato, purché lo stesso trattamento sia eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis e si sia concluso con esito positivo per il paziente.

 

Una recente sentenza della IV sezione penale della Corte di Cassazione costituisce l’occasione per soffermarsi brevemente sul tema del consenso informato in situazioni d’urgenza.

 

Il caso

Una donna in evidente stato di confusione mentale si reca in Pronto Soccorso con numerose ferite da arma da taglio autoinferte ai polsi ed all’addome.

Il medico del Pronto Soccorso soccorre la paziente, praticandole le medicazioni e le suture necessarie ma, nonostante le ferite siano profonde e sporche di terra, omette di praticarle la necessaria profilassi antitetanica ed antibiotica.

Un altro sanitario, che non aveva partecipato agli interventi terapeutici ed attivatosi invece per ottenere un consulto psichiatrico per la donna – depressa cronica e la cui condizione faceva temere ulteriori atti di autolesionismo – ne firmerà poi le dimissioni.

In seguito, la donna decede per grave insufficienza respiratoria conseguente ad infezione tetanica non trattata.

Entrambi i medici vengono condannati penalmente dal Tribunale di Avellino per avere omesso le condotte dagli stessi dovute in forza della rispettiva posizione di garanzia nei confronti della paziente.

La Corte d’Appello dichiara il non doversi procedere nei confronti di entrambi gli imputati per intervenuta prescrizione del reato, confermando tuttavia le statuizioni di condanna civile del primo grado e di condanna al pagamento delle spese. Tale sentenza viene impugnata in Cassazione.

 

La difesa del medico di Pronto Soccorso

Il medico di Pronto Soccorso deduce, per giustificare la sua condotta, che il presupposto di liceità di qualsiasi trattamento medico-chirurgico è rappresentato dal consenso del paziente, in questo caso non prestato per la somministrazione della profilassi antitetanica.

Secondo la Corte, invece, la dedotta necessità del consenso informato è del tutto inconferente al caso di specie, posto che il rimprovero mosso ad entrambi i sanitari – ciascuno rispetto agli incombenti svolti e alle rispettive fasi del ricovero e della dimissione della paziente – è di non aver praticato alla persona offesa le terapie necessarie.

 

Cosa fare in situazioni d’emergenza?

Nel caso di specie ci troviamo al cospetto di una situazione di emergenza in cui la paziente, per la patologia psichiatrica di cui era affetta e per la contingenza emotiva del momento, non era condizione di esprimere alcun consenso:

Di fronte ad una situazione di pericolo per l’integrità fisica del paziente, il medico, titolare di una posizione di garanzia rispetto allo stesso, ha l’obbligo di procedere alle cure necessarie, predisponendo i presidi e i trattamenti atti a prevenire conseguenze pregiudizievoli o, addirittura, letali.

 

La posizione delle Sezioni Unite

Secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 2437 del 18/12/2008 Ud. (dep. 21/01/2009), Giulini, Rv. 241752), non integra il reato di lesioni personali, né quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento terapeutico in relazione al quale non sia stato prestato il consenso informato,

nel caso in cui (il trattamento), eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, essendo da esso derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute del paziente, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso.

Diverso è il caso di rifiuto espresso del paziente al trattamento: sul punto, vedi il mio post Dissenso informato: che fare.

 

Il perimetro dell’obbligo di garanzia del medico di Pronto Soccorso

La Corte precisa inoltre che l’ambito dell’obbligo di garanzia verso il paziente, gravante sul medico di Pronto Soccorso, può in generale ritenersi definito dalle specifiche competenze che sono proprie della medicina d’emergenza o d’urgenza: vi rientrano l’esecuzione di taluni accertamenti clinici, la decisione circa le cure da prestare e l’individuazione delle prestazioni specialistiche eventualmente necessarie.

Così delineato il perimetro della posizione di garanzia del medico di Pronto Soccorso, la mancata prestazione di presidi terapeutici fondamentali per la vita del paziente si configura come un’ipotesi di colpa grave.

Nel caso in commento viene considerata gravemente colposa l’omissione della profilassi antitetanica, posto che la relativa somministrazione, senz’altro dovuta in base alle circostanze all’atto del ricovero, avrebbe con elevata probabilità logica evitato l’infezione e il conseguente decesso della paziente.

 

La dimissione del paziente non è una mera formalità

La Corte, esaminando poi la posizione del secondo medico imputato, evidenzia come la dimissione di un paziente non abbia affatto un carattere meramente formale, perchè sul medico che vi provvede grava l’obbligo di esaminare la cartella clinica del paziente.

Nel caso in esame, la circostanza che la paziente fosse stata presa in carico dal collega del Pronto Soccorso non esimeva infatti il medico in questione dal verificare la documentazione clinica e dall’esprimere osservazioni e critiche sui trattamenti praticati o non praticati:

la sua responsabilità per colpa scaturisce proprio dal fatto che egli disponeva di tutte le informazioni e dei dati clinici sulle condizioni del paziente, ossia dei dati che avrebbero consentito di evidenziare l’omessa somministrazione della terapia necessaria e ciò non di meno non è intervenuto per porre rimedio o per evidenziare la necessità della profilassi in questione.

Si tratta infatti di comportamento che il medico preposto a dimettere il paziente deve tenere per impedire il verificarsi dell’evento dannoso.

Alla luce delle argomentazioni che precedono, dunque, i ricorsi dei due medici sono stati rigettati.

 

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LEGGI LA SENTENZA

Cassazione Penale, Sez. IV, n. 31628 dell’11.7.2018