L’attività del medico chirurgo non può essere limitata all’intervento di cui risulta essere stato incaricato, ma deve ritenersi estesa, in coerenza con la compiutezza della sua prestazione e in relazione alla correlata esigenza di tutela della salute del paziente, alle informazioni per il doveroso “follow up” prescritto dai protocolli, ovvero comunque fatto proprio come corretto dalla comunità scientifica in relazione alla specifica diagnosi effettuata nel caso concreto.
Trovate qui di seguito il mio ultimo post per la sezione “Aspetti legali in dermatologia” del sito ISPLAD. Buona lettura!
Oggi vi segnalo un’interessante sentenza della Cassazione Civile (la n. 13509 del 29 aprile 2022) in tema di responsabilità del chirurgo per mancato follow-up del paziente.
Il caso
Un paziente si sottopone all’asportazione di una lesione cutanea cupoliforme sospetta, localizzata sul dorso sottoscapolare sinistro, con diagnosi di melanoma; il chirurgo non richiede esame istologico, né un trattamento di “follow-up” informativo o anche solo di monitoraggio.
Alcuni anni dopo, emerge – all’apparire di rigonfiamenti ai linfonodi del cavo ascellare – una metastasi massiva da melanoma, ricollegata dai medici al melanoma escisso; nonostante i plurimi interventi e trattamenti succedutisi, il paziente decede, e i suoi parenti incardinano una causa contro il medico e la Gestione Liquidatoria ex USL di riferimento per il risarcimento dei danni.
Il Tribunale accoglie la domanda risarcitoria; la Corte d’Appello conferma la condanna. Vediamo qual è l’esito del ricorso avanti alla Corte di Cassazione.
I passaggi fondamentali della decisione in grado d’appello
La Corte d’Appello, nella sua sentenza:
– pur riscontrando l’inadeguatezza della tecnica operatoria adottata nell’intervento di escissione del melanoma, per insufficienza dei margini di escissione e difetto di successiva radicalizzazione, esclude – secondo criteri probabilistici – che tale inadeguatezza avesse prodotto effetti apprezzabili, tenuto conto delle mancate recidive locali; pur volendo ipotizzare che la mancata radicalizzazione chirurgica potesse aver influito sull’evoluzione della malattia, l’inappropriata tecnica operatoria del tumore primitivo avrebbe potuto generare, sempre in applicazione dei parametri di probabilità, solo recidive locali (nel caso risultate assenti)
– afferma però la rilevanza causale nel decesso del paziente – in termini di «altissima probabilità» – del mancato “follow-up”, del quale non poteva che rispondere anche il chirurgo come tale e, dunque, quale sanitario dell’azienda coinvolta;
– conclude per la sussistenza del nesso causale tra mancato follow-up e danno da perdita di “chances” di sopravvivenza del paziente.
La perdita di “chance” a carattere non patrimoniale consiste nella privazione della possibilità di un miglior risultato sperato, incerto ed eventuale (la maggiore durata della vita o la sopportazione di minori sofferenze) conseguente – secondo gli ordinari criteri di derivazione eziologica – alla condotta colposa del sanitario, ed integra evento di danno risarcibile, da liquidare in via equitativa, quando la “possibilità perduta” sia apprezzabile, seria e consistente
(Cass. Civ., n. 5641 del 09/03/2018; Cass. Civ., n. 28993 del 11/11/2019).
In quest’ottica, la sentenza d’appello aveva specificato che:
- il melanoma da cui era affetto il paziente era originariamente inquadrabile al primo stadio, con speranze di guarigione vicine al 100%, ovvero, come indicato dal ricorso riportando la perizia giudiziale, del 97% a cinque anni dopo il trattamento e del 95% a dieci anni dopo il trattamento;
- era mancato completamente il “follow up”, doveroso “in fieri” oltre i dieci anni in base agli studi scientifici dell’epoca;
- quest’ultimo, se eseguito, avrebbe potuto, con altissime probabilità, individuare le sopravvenute metastasi linfonodali ascellari in stato iniziale, in una fase curabile con maggiore efficacia, aumentando in modo concretamente significativo, dunque seriamente apprezzabile, le possibilità di sopravvivenza del malato tanto più perché particolarmente esposto ai raggi solari esercitando anche il mestiere di skipper – «nella fascia percentuale più favorevole del 59-78% a cinque anni».
Il chirurgo è responsabile per il mancato follow-up?
Il chirurgo impugna la decisione sopra riassunta contestando, innanzitutto, l’erroneità dell’addebito dei suoi confronti di una responsabilità medica da “équipe”. Infatti, nel caso in commento, non era in questione l’inadeguatezza di un intervento chirurgico eseguito con la collaborazione di più sanitari, bensì solo la responsabilità della struttura sanitaria per il mancato “follow-up” del paziente, estraneo alla sfera di controllo del chirurgo, tenuto anche conto del fatto che il paziente era seguito da altro professionista di fiducia che lo aveva invitato a farsi operare, come poi avvenuto.
Secondo la Cassazione la contestazione non coglie nel segno. La Corte d’appello aveva infatti accertato che nessuna indicazione, dunque neppure dal chirurgo, fu data al paziente in punto di eventuali controlli da eseguire successivamente all’intervento.
Secondo la Suprema Corte:
“l’attività del medico chirurgo non può essere limitata all’intervento di cui risulta essere stato incaricato ma deve ritenersi estesa, in coerenza con la compiutezza della sua prestazione e in relazione alla correlata esigenza di tutela della salute del paziente, alle informazioni per il doveroso “follow-up” prescritto dai protocolli ovvero comunque… fatto proprio come corretto dalla comunità scientifica in relazione alla specifica – e qui affatto trascurabile – diagnosi da melanoma effettuata nel caso concreto”.
Il concetto di équipe quale collettivo dei sanitari responsabili della salute del paziente
Nemmeno la contestazione – sopra vista – sollevata dal chirurgo in punto di responsabilità d’équipe viene ritenuta accoglibile.
Il termine “équipe”, utilizzato nella sentenza in commento, si riferisce infatti – in senso ampio – ai sanitari tramite cui l’azienda sanitaria avrebbe dovuto dare seguito alla propria obbligazione negoziale nei confronti del paziente, in primo luogo per dare a quest’ultimo le necessarie informazioni e istruzioni successive all’intervento, senza che dagli stessi possa essere espunto proprio il chirurgo che eseguì l’intervento; né l’eventuale corresponsabilità di altri professionisti può escludere, per una ragione prima logica che giuridica, quella del chirurgo sul punto.
“Lo stesso chirurgo, quale dipendente della struttura vincolata al contratto di spedalità, deve ritenersi appartenente, lui per primo, al collettivo dei medici tramite cui quella agisce per adempiere lo specifico impegno negoziale, senza che sia possibile sezionare, a fini di esenzione e senza sinergie funzionali alla tutela della salute, le responsabilità inerenti a quell’adempimento”.
Per concludere
Alla luce di quanto precede la Cassazione ha rigettato i ricorsi, confermando la responsabilità del medico e della struttura ospedaliera d’appartenenza per l’omesso follow-up del paziente.
Ci aggiorniamo a breve con un nuovo, interessante argomento!
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