Non dà luogo a responsabilità civile la condotta del medico che, nel corso di un intervento programmato, sottoponga il paziente a trattamento terapeutico maggiormente invasivo, in relazione al quale non sia stato originariamente prestato il consenso informato, qualora la particolare gravità ed aggressività della patologia riscontrata sia idonea ad esporre a rischio della stessa vita della paziente e dunque a costituire stato di necessità.
Trovate qui di seguito il mio ultimo articolo per la sezione “Aspetti Legali in Dermatologia” del sito Internet dell’ISPLAD – International-Italian Society of Plastic – Regenerative and Oncologic Dermatology, di interesse generale per professionisti sanitari.
Buona lettura!
Scoperta inattesa di patologia grave e particolarmente aggressiva in corso d’intervento e consenso informato
Oggi torniamo sul tema del consenso informato con una recente sentenza della III sezione civile della Corte di Cassazione (la n. 28814 dell’8 novembre 2019) relativa al tema del consenso del paziente in situazioni di urgenza.
Il caso
Una signora viene sottoposta ad intervento programmato per l’asportazione di alcune cisti. Nel corso dell’operazione, il chirurgo scopre la natura non benigna delle stesse e l’esistenza invece di un “carcinoma lobulare infiltrante con aree di carcinoma duttale e sette linfonodi del primo livello, quattro dei quali metastatici”. Il chirurgo, rilevata l’estrema gravità della situazione, decide di procedere immediatamente all’asportazione dell’intera mammella sinistra, senza attendere il risveglio della paziente per l’acquisizione del relativo consenso.
A seguito dell’intervento, la paziente agisce in giudizio contro il medico e la struttura, deducendo di non essere stata informata in merito alla possibilità di occorrenza di un intervento a tal punto invasivo e lamentando la sofferenza di un danno sia psichico che esistenziale in conseguenza dello stesso.
Il Tribunale accoglie implicitamente la richiesta della paziente di risarcimento del danno psichico derivante dalle conseguenze della mancanza di valido consenso informato; la Corte d’Appello riforma invece la decisione di primo grado. Vediamo qual è la posizione della Cassazione sull’impugnazione proposta dalla paziente contro quest’ultima decisione.
I motivi dell’impugnazione
La paziente contesta innanzitutto che il modulo di consenso informato fattole firmare era, in generale, generico e dunque di essere stata sottoposta a trattamento sanitario senza adeguata espressione di consenso, con conseguente violazione del proprio diritto di autodeterminazione.
In secondo luogo, la sentenza d’appello avrebbe ritenuto essere stato prestato una sorta di consenso presunto da parte della paziente all’intervento più invasivo, che sarebbe inaccettabile sulla base dei principi generali in materia.
La decisione della Cassazione
Secondo la Corte di Cassazione, la sentenza della Corte d’Appello ha correttamente distino due profili:
- quello del danno alla salute derivante da inesatta prestazione medica, che è stato radicalmente escluso nel caso in commento posto che l’intervento era stato correttamente eseguito, e
- quello del danno, autonomo, derivante dalla mancanza di adeguata prospettazione alla paziente delle possibili necessità operatorie più invasive rispetto a quelle originariamente ipotizzate, con conseguente mancanza di autodeterminazione della paziente al riguardo.
In ordine a tale ultimo profilo, la Cassazione ha confermato il giudizio della Corte d’Appello, secondo la quale
- nel caso in commento, il consenso informato rispetto all’intervento chirurgico di mastectomia era in effetti del tutto mancante;
- ad ogni modo, la scelta operatoria più invasiva – rispetto a quella originariamente ipotizzata di mera asportazione di alcune cisti – era stata giustificata dall’inattesa scoperta, in fase operatoria, mediante un esame istologico, di una patologia oncologica grave;
- la particolare aggressività della patologia riscontrata e l’elevata probabilità che la diffusione ulteriore delle cellule cancerose rendesse vane – o comunque nettamente meno favorevoli – le terapie chemio e radioterapiche, erano idonee a costituire stato di necessità ed a giustificare l’intervento non preventivamente consentito dalla paziente.
In caso di stato di necessità il consenso del paziente si può presumere
Sulla base di tali premesse, la Cassazione ha giudicato la sentenza impugnata corretta e
“condivisibile (il) riferimento allo stato di necessità in cui il medico operante si è trovato ad agire, dovendo scegliere tra l’attendere il risveglio della paziente, in anestesia totale, per poterla informare della necessità di procedere ad un intervento operatorio comunque necessario, per effettuarlo con ritardo di diversi giorni, e nuova ed invasiva operazione (con reiterazione dell’anestesia totale), essendo notorio che il recupero della piena coscienza e consapevolezza dopo un’anestesia totale non è conseguenza immediata del risveglio, e l’effettuare immediatamente l’asportazione del tessuto interessato dalle cellule cancerose, con riduzione al minimo dell’esposizione a rischio della vita della (…) e ampia possibilità di riduzione delle necessarie conseguenti terapie.”
In altri termini, la Corte ha reputato che l’estrema aggressività del male fosse idonea a configurare uno stato di necessità – e dunque un pericolo attuale di un danno grave alla persona del paziente – idoneo a giustificare l’omessa raccolta del consenso espresso al più invasivo – ma salvifico – intervento di mastectomia.
In passato, la Cassazione si era già espressa in tal senso, affermando che
“Il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza, rinvenuti a seguito di un intervento concordato e programmato, per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso, e tali da porre in gravissimo pericolo la vita della persona – bene che riceve e si correda di una tutela primaria nella scala dei valori giuridici a fondamento dell’ordine giuridico e del vivere civile -, o si tratti di trattamento sanitario obbligatorio”
(così la sentenza della Terza Sezione Civile, n. 2369 del 31 gennaio 2018).
L’impostazione della sentenza che oggi commentiamo è coerente con il principio, più volte affermato dalla stessa Corte di Cassazione, secondo cui
“il consenso informato al trattamento medico non può mai essere presunto ma deve essere espresso… salvo che ricorra uno stato di imminente necessità”.
Il consenso informato, infatti, si fonda sul diritto del paziente ad autodeterminarsi, e conseguentemente ad esprimere direttamente scelte personalissime, che appartengono solo al paziente stesso e rispetto alle quali
“nessun automatismo è consentito (e tanto meno alcuna surrogazione da parte di terzi, ancorchè qualificati) in relazione alla convenienza o meno del trattamento sul piano strettamente medico-sanitario”.
Solo l’urgenza determinata dalla necessità attuale di evitare un pericolo grave alla salute o alla vita del paziente può pertanto giustificare l’intervento medico, sulla base di una presunzione del consenso del paziente stesso all’intervento salva-vita.
Per concludere
Sulla base di queste argomentazioni, la Corte di Cassazione ha coerentemente confermato il rigetto delle istanze della paziente.
Resta comunque consigliabile, qualora vi sia la possibilità che un intervento chirurgico possa dar luogo ad esiti diversi e più gravi da quelli originariamente previsti, prospettare al paziente tutti i possibili scenari e raccoglierne il consenso anche ad eventuali interventi più invasivi, e ciò al fine di evitare potenziali rischi di contenzioso.
Sempre sul tema in discussione, ma sul versante della responsabilità penale, vedi anche il mio precedente post il consenso informato in situazioni d’urgenza.
Ci aggiorniamo la prossima settimana con un nuovo, interessante argomento!
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