Il consenso informato in procreazione medicalmente assistita (parte II): i limiti alla revoca del consenso

Trovate di seguito la seconda parte del post da me scritto a quattro mani con il Dottor Roberto Liguori sul tema del consenso informato in procreazione medicalmente assistita.  Qui, se ve la siete persa, potete leggere la prima parte del post.

 

Esiste la possibilità di revoca del consenso alla PMA?

In tema di espressione del consenso alla procreazione medicalmente assistita da parte degli interessati, è interessante notare che l’art. 6 della Legge n. 40/2004 stabilisce che tra la manifestazione della volontà e l’applicazione della tecnica di PMA prescelta deve intercorrere un termine non inferiore a sette giorni.

Questo lasso di tempo serve, in tutta evidenza, a garantire che la volontà della coppia di accedere alla procedura sia stata adeguatamente ponderata e si sia irrevocabilmente formata.

Infatti se, sulla base delle regole generali, il paziente ha sempre il diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione  del  trattamento (cfr. art. 1, co. 5, Legge 219/2017),

in PMA sussiste la possibilità di revoca del consenso da parte dei richiedenti, ma solo fino al momento della fecondazione dell’ovulo (art. 6, co. 3, Legge 40/2004): dopo tale momento, la revoca non sarà più possibile.

La tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti nel trattamento è attuata assicurando, da un lato, la consapevolezza del consenso alla PMA e la possibilità di revoca sino alla fecondazione e, dopo tale momento, ritenendo prevalente il diritto alla vita dell’embrione, che potrà essere sacrificato solo a fronte del rischio di lesione di diritti di pari rango ritenuti prevalenti, per lo più a tutela della salute della donna.

Dal canto proprio, il medico responsabile ha la possibilità di non procedere all’esecuzione della PMA, ma esclusivamente per motivi di ordine medico-sanitario, con decisione che va motivata in forma scritta.

 

I limiti alla revoca del consenso in PMA: una recente applicazione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha recentemente emanato due provvedimenti (l’ordinanza 25.11.2020, emessa all’esito di un procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., e l’ordinanza 27.1.2021, che ne ha deciso il reclamo) concernenti un caso di revoca – ritenuta illegittima – del consenso alla PMA da parte di uno dei due coniugi.

In breve, una coppia decide di sottoporsi a fecondazione omologa in vitro, prestando formale consenso alla procedura; si procede al prelievo degli spermatozoi del marito e al prelievo ovocitario dell’ovaio con follicoli della moglie; si procede dunque alla fecondazione degli ovuli, ma l’impianto non può aver luogo immediatamente a causa di un’emorragia sofferta dalla donna in conseguenza dell’iperstimolazione ovarica. Si procede dunque a crioconservazione degli embrioni, finalizzata a consentire il successivo impianto una volta che le condizioni di salute della signora si saranno ristabilite.

Sennonché, nel frattempo, il marito avvia il procedimento di separazione. La moglie ricorre dunque al Tribunale chiedendo di ordinare al centro medico, ove sono conservati gli embrioni fecondati, di procedere al relativo impianto in utero, avendo raggiunto l’età di 43 anni e dunque una soglia già critica per il successo della procedura.

Il marito si oppone alla richiesta ma il Tribunale – in sede di decisione sia del ricorso ex art. 700 c.p.c., sia del reclamo – ribadisce l’irrevocabilità del consenso prestato dai coniugi anteriormente alla fecondazione, una volta che la stessa sia poi effettivamente avvenuta, e ordina quindi al Centro, acconsentendo alla richiesta della moglie, l’impianto degli ovuli per la prosecuzione della gravidanza.

Secondo il Tribunale

la legge 40/2004 rende ininfluenti non solo i comportamenti ma anche gli eventi intervenuti dopo che il consenso della coppia sia divenuto irrevocabile: “la libertà di procreare si è esercitata e si è esaurita con la fecondazione”, ammettendo la legge la libertà di ripensamento solo fino alla fecondazione medesima…

con riguardo alla fattispecie in esame deve ritenersi prevalente il diritto dell’embrione a nascere e il diritto alla tutela delle esigenze della procreazione rispetto al diritto del genitore che, nell’esercizio della sua autoresponsabilità, ha comunque la facoltà di revocare il consenso al trattamento fino alla fecondazione”.

 

Le conseguenze della violazione del consenso

Il consenso informato alle tecniche di PMA – se non preceduto da un’adeguata, completa e chiara informativa, e/o se raccolto in violazione delle norme sopra viste – è dunque potenzialmente causa di contenzioso medico-legale.

Ma la violazione delle norme in tema di consenso non espone il medico e la struttura di appartenenza al solo rischio di controversie di risarcimento del danno per omesso consenso degli interessati, ma anche alla potenziale irrogazione di sanzioni, che includono la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro (irrogabile a chiunque applichi tecniche di PMA senza avere raccolto il consenso secondo le modalità prescritte) ed il rischio di sanzioni disciplinari interdittive.

 

Ci aggiorniamo la prossima settimana con un nuovo, interessante argomento!

Nel frattempo, resta collegato o iscriviti alla newsletter per non perdere i prossimi aggiornamenti.

A presto!

 

LEGGI I DOCUMENTI

Tribunale S. Maria Capua Vetere, ordinanza 25.11.2020

Tribunale S. Maria Capua Vetere, ordinanza 27.1.2021