Omesso consenso informato: quando può essere fonte di risarcimento per il paziente?

In caso di omesso consenso informato, il danno non è in re ipsa, ma grava sul paziente l’allegazione e la prova del danno da violazione del suo diritto di autodeterminazione.

Oggi vi segnalo una recente ordinanza della Cassazione Civile (n. 17649 del 26.6.2024) sul tema – a me sempre caro – del consenso informato del paziente e dei possibili danni risarcibili in caso di sua omissione.

Il caso

Un signore accusa un malore durante una partita di calcio sulla spiaggia e gli viene diagnosticata una “stenocardia in atto”; trasportato presso l’ospedale più vicino, gli viene somministrato un trattamento farmacologico di trombolisi (eparina), a seguito del quale insorge emorragia cerebrale che rende necessario il ricovero in rianimazione e un intervento di tracheotomia da cui residuano, dopo mesi di riabilitazione, postumi invalidanti nella misura del 90%.

Il paziente e sua moglie fanno causa all’Ospedale al fine di ottenere il risarcimento dei danni riportati dal primo, sostenendo che la condotta professionale dei sanitari era stata negligente e che il farmaco era stato somministrato senza acquisire preliminarmente il consenso informato del paziente stesso.

Il giudizio di merito

La Corte d’Appello rigetta la domanda, escludendo la sussistenza di danni risarcibili causati dalla non corretta esecuzione della prestazione sanitaria, posto che:

  • da un lato, la fibrinolisi era infatti l’unico trattamento eseguibile per la risoluzione delle conseguenze dell’infarto miocardico in atto (avuto riguardo alla non praticabilità in loco del trattamento alternativo di angioplastica e all’impossibilità di tempestivo trasferimento del paziente in altri nosocomi, attrezzati per tale diverso trattamento) e
  • dall’altro lato, non era dimostrato il nesso causale tra tale trattamento e la successiva emorragia cerebrale, che con maggiore probabilità era ascrivibile ai farmaci anticoagulanti, i quali sarebbero stati somministrati al paziente anche in caso di effettuazione del diverso trattamento di angioplastica.

Ma anche sotto il profilo dell’omesso consenso, la Corte d’Appello ritiene insussistenti i danni allegati dal paziente.

Vediamo qual è l’esito del giudizio avanti alla Corte di Cassazione, che verte tutto intorno a quest’ultimo punto.

I motivi del ricorso in Cassazione

Nel suo ricorso in Cassazione, il paziente sostiene che la violazione dell’obbligo di acquisire il consenso informato da parte del medico determinerebbe in ogni caso la lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente e avrebbe, quali sue normali conseguenze, la sofferenza per la contrazione della libertà di disporre di sé stesso ed il turbamento dipendente dalla realizzazione e dal verificarsi di esiti invalidanti inattesi e indesiderati, non prospettati dal personale sanitario.

Secondo il paziente, questo sarebbe un danno che esiste di per sé, ogni qualvolta venga negato ad un paziente il diritto all’informazione al trattamento sanitario da parte del medico, e che va dunque risarcito. Ma è proprio così?

Il danno da omesso consenso informato è sempre risarcibile?

Secondo la Cassazione, la risposta deve essere negativa.

Vanno innanzitutto distinte due ipotesi, nel senso che la violazione degli obblighi informativi del sanitario nei confronti del paziente può causare:

  • un evento di danno rappresentato dalla lesione del diritto alla salute del paziente (per esempio: il paziente non viene informato della possibilità di una complicanza, pur inevitabile da parte del chirurgo, complicanza che poi si verifica e gli causa un danno alla salute), oppure
  • un evento di danno rappresentato dalla lesione del diritto ad autodeterminarsi del paziente, oppure
  • entrambi i danni contemporaneamente.

Nel primo caso (deficit informativo dedotto come lesivo del diritto alla salute), la violazione dell’obbligo informativo può assumere una rilevanza al fine del risarcimento del paziente (e ciò in caso di esito negativo di intervento correttamente eseguito, che non sarebbe altrimenti fonte di risarcimento) solo nel caso in cui il paziente dimostri che, se fosse stato debitamente informato dei possibili rischi dell’intervento o del trattamento, avrebbe rifiutato di sottoporvisi.

Invece, nel secondo caso (deficit informativo dedotto come lesivo del diritto all’autodeterminazione), pur essendo pacifico che il paziente non sia stato messo nelle condizioni di determinarsi autonomamente in ordine alla scelta terapeutica o all’intervento sanitario poi eseguiti, questo non costituisce, in sé considerato, un danno risarcibile. Per poter chiedere un risarcimento, è infatti necessario qualcosa in più, e cioè che il paziente alleghi e provi specificamente quali altri pregiudizi – diversi dal danno alla salute eventualmente derivato – ha subito.

 

Come si atteggia il danno al diritto all’autodeterminazione del paziente

In altri termini, ci ricorda la Suprema Corte,

un danno risarcibile da lesione del diritto all’autodeterminazione è predicabile solo se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di sé stesso, psichicamente e fisicamente, da allegarsi specificamente e da provarsi concretamente, sia pure a mezzo di presunzioni”.

In argomento, vedi anche i miei precedenti post che trovi qui http://avvocatoelenabassan.it/category/consenso-informato/

Ciò che è importante rilevare in questo caso è che, pur dando per assodato il fatto che al paziente non sia stata data la dovuta informazione dal medico, tale condotta non sarà automaticamente, cioè di per sé, fonte di risarcimento a favore del paziente, ma il paziente dovrà allegare e provare quale danno, diverso dal danno alla salute, ha riportato.

 

Quali sono i danni al diritto di autodeterminazione?

Sono state considerate ipotesi di danno al diritto d’autodeterminazione del paziente le seguenti situazioni:

  • una prestazione terapeutica che salva la vita al paziente, ma con sofferenza di dolore fisico acuto o cronico che il paziente avrebbe preferito scegliere di non sopportare;
  • una prestazione che abbia salvaguardato la salute del paziente in un campo a discapito di pregiudizio ad altro aspetto, percepito come più rilevante dal paziente;
  • una trasfusione salvavita effettuata su Testimone di Geova e conseguente sofferenza subita perché in contrasto con la fede religiosa del paziente;
  • la sofferenza psicologica derivata da conseguenze del tutto inaspettate dell’atto terapeutico perché non prospettate al paziente e per questo più difficilmente accettate (per esempio in caso di interventi demolitori).

Per approfondimenti, vedi anche il mio saggio “Aspetti civilistici del consenso informato in medicina”.

Per concludere

Nella vicenda in esame, la Cassazione ha ritenuto corretta la posizione della Corte d’Appello, che ha ritenuto non solo non provata, ma nemmeno allegata la lesione del diritto di autodeterminazione:

“Il generico riferimento alla “sofferenza” e alla “contrazione della libertà di disporre di sé stesso” non individua alcun danno-conseguenza, venendo a coincidere tautologicamente con la stessa violazione del diritto e, quindi, con il danno-evento.”

Il ricorso è stato dunque rigettato ed il paziente condannato a rimborsare le spese del giudizio all’ospedale, oltre che al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

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LEGGI IL DOCUMENTO

Cassazione Civile, Sez. III, n. 17649 del 26.6.2024