Cartella clinica: il decalogo della Cassazione

Le attestazioni contenute in una cartella clinica, redatta da un’azienda ospedaliera pubblica o da un ente convenzionato con il servizio sanitario pubblico, hanno natura di certificazione amministrativa per quanto attiene alle sole trascrizioni delle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, restando, invece, non coperte da fede privilegiata le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa espresse.

La cartella clinica, inoltre, fa fede fino a querela di falso solo in positivo, e in relazione ai dati obiettivi in essa contenuti.

In relazione ai dati mancanti, che una delle parti assume dovessero essere riportati, perché relativi ad attività cliniche o terapeutiche che assume si siano svolte, la prova può essere fornita con ogni mezzo.

Oggi vi segnalo un’interessantissima ordinanza della Corte di Cassazione (n. 16737 del 17 giugno 2024) sul tema del valore delle risultanze (e delle mancanze) della cartella clinica.

Il caso

Una signora, alla quarantesima settimana di gravidanza, si reca in ospedale per un esame strumentale, all’esito del quale il medico consiglia il ricovero; nei giorni seguenti la paziente viene sottoposta a diversi esami, ma solo dall’ultimo tracciato, eseguito a cinque giorni dal ricovero, emerge la sofferenza del feto; viene dunque impartito l’ordine di effettuare immediatamente il cesareo, all’esito del quale nasce una bambina senza vita.

Viene dunque presentata querela contro i medici ed esercitata un’azione civile per il risarcimento dei danni.

Secondo i genitori, sia il personale medico sia la struttura ospedaliera sono passibili di condotta gravemente negligente:

  1. per non aver sottoposto la paziente – che presentava diversi fattori di rischio – ad esami strumentali più assidui
  2. per non aver effettuato tempestivamente un intervento cesareo d’urgenza, che avrebbe salvato la vita alla bambina
  3. per non aver adeguatamente tenuto e custodito la cartella clinica, posto che da essa non risultava il tracciato della penultima indagine cardiotocografica della sera precedente al parto, la cui avvenuta esecuzione era stata accertata nel corso delle indagini e del procedimento penale apertosi a carico dei sanitari.

Il Tribunale accoglie la domanda dei genitori; la Corte d’Appello riforma però integralmente la sentenza di primo grado, rigettando la domanda risarcitoria.

In particolare, in relazione alla allegata mancanza del tracciato cardiaco dalla cartella clinica, la Corte d’Appello afferma che, avendo la cartella clinica natura di certificazione amministrativa, lo stesso fatto non poteva ritenersi provato, in mancanza di una querela di falso, sulla base dell’accertamento in fatto effettuato nel procedimento penale contro i medici.

Vediamo qual è l’esito del ricorso in Cassazione, tutto centrato sul valore del contenuto (e delle mancanze) della cartella clinica.

Qual è il valore della cartella clinica?

Il primo punto in discussione è quale sia il valore probatorio dei contenuti della cartella clinica.

In tema, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che

“le attestazioni contenute in una cartella clinica, redatta da un’azienda ospedaliera pubblica, o da un ente convenzionato con il servizio sanitario pubblico, hanno natura di certificazione amministrativa, cui è applicabile lo speciale regime di cui agli artt. 2699 e segg. c.c., per quanto attiene alle sole trascrizioni delle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, restando, invece, non coperte da fede privilegiata le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa espresse”.

Il principio di diritto indicato riconosce dunque il valore di certificazione amministrativa della cartella clinica, ed è teso ad individuare la diversa rilevanza e il diverso metodo di confutabilità riservato:

  • da un lato, ai dati oggettivi in essa riportati (quali l’indicazione delle attività cliniche e strumentali svolte, delle terapie prescritte ed eseguite), attestate dal soggetto che compila la cartella che, in relazione quella funzione è considerabile un pubblico ufficiale, e che hanno fede privilegiata, cioè sono contrastabili solo a mezzo della querela di falso
  • dall’altro lato, alle valutazioni eventualmente in essa inserita, in merito alle quali la Corte ha chiarito che

“Non sono coperte da fede privilegiata le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa annotate”.

Non è dunque necessaria la querela di falso per contestare, per esempio, una diagnosi o un’opinione espressa dal medico redattore.

Qual è il valore delle mancanze della cartella clinica?

Il principio sopra visto non chiarisce però quale sia il valore probatorio della cartella in ordine a tutte quelle attività non risultanti da essa (e che la parte assume, al contrario, essersi svolte e non risultino a causa di una lacunosa tenuta della cartella clinica).

Secondo la Corte, il contenuto di fede privilegiata (e cioè di valore di prova fino a querela di falso) di cui sono dotate le dichiarazioni (positive) di attività svolte, inserite nella cartella, non stende il suo “ombrello protettivo” in negativo, cioè fino a contenere l’implicita affermazione che null’altro è avvenuto perché non inserito all’interno della cartella clinica.

Per contestare la mancanza di un contenuto della cartella clinica è necessaria la querela di falso?

Sul punto, la Cassazione afferma dunque che

“In relazione a ciò che non risulta dalla cartella clinica non è necessario alla parte che ne vuole far accertare una lacuna o una omissione proporre querela di falso… la cartella fa fede fino a querela di falso solo in positivo, e in relazione ai dati obiettivi in essa contenuti.

In relazione ai dati mancanti, che una delle parti assume dovessero essere riportati, perché relativi ad attività (nel caso in esame, cliniche o terapeutiche) che assume si siano svolte, la prova può essere fornita con ogni mezzo”.

La prova dell’effettivo svolgimento di attività non risultanti dalla cartella clinica può essere dunque fornita con ogni mezzo.

Ha dunque errato la Corte d’Appello, nel caso in commento, a non prendere in esame e a non valutare le risultanze istruttorie diverse dalla cartella clinica (esito delle prove testimoniali svolte sia nel processo civile che nel procedimento penale) al fine della ricostruzione degli avvenimenti precedenti al parto, e della conseguente valutazione della correttezza o meno dell’operato dei sanitari.

E se l’incompletezza della cartella è un atto voluto per impedire l’accertamento dei fatti?

Sul punto, il principio che opera è quello della vicinanza alla prova, secondo il quale,

in tema di responsabilità medica, la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare, sul piano probatorio, il paziente.

In altri termini, l’incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente, ma solo quando:

(1) la condotta del sanitario (allegata dal paziente, ma non risultante dalla cartella) è stata astrattamente idonea a causare il danno;

(2) proprio l’incompletezza della cartella clinica abbia reso impossibile l’accertamento del legame eziologico (cioè causa-effetto) tra condotta e danno.

In punto, vedi anche il mio precedente post La lacunosità della cartella clinica non può ricadere sul paziente.

Ritenendo diversamente, si verrebbe a giovare della carenza della documentazione clinica proprio a il medico che, rimanendo inadempiente rispetto al proprio obbligo di diligenza nella tenuta della documentazione, ha determinato quella lacuna, e così facendo impedirebbe di accertare la sua responsabilità:

“il medico ha l’obbligo di controllare la competenza e l’esattezza delle cartelle cliniche e dei relativi referti allegati, la cui violazione comporta la configurazione di un difetto di diligenza rispetto alla previsione generale contenuta nell’art. 1176, secondo comma, cod. civ. e, quindi, un inesatto adempimento della sua corrispondente prestazione professionale”.

Per approfondire, vedi il mio post Cartella clinica lacunosa: le regole dell’onere della prova in giudizio.

La soluzione nel caso concreto

In applicazione dei sopra riportati principi, la Cassazione ha ritenuto errato il ragionamento adottato dalla Corte d’Appello, sia in termini di rilevanza delle mancanze della cartella clinica, sia con riferimento ai criteri da applicare nel giudizio:

quando la corte d’appello, in conformità ai principi di diritto sopra enunciati, provvederà a rinnovare l’accertamento effettuato, verificando se vi è stata lacunosa tenuta della cartella clinica e se possa ritenersi accertato, senza alcun vincolo di prova legale, che sia stato eseguito sulla paziente l’esame alle ore 20 non risultante dalla cartella clinica, e se da esso risultassero già indici di una sofferenza fetale tali che, se tempestivamente presi in considerazione, la morte della bambina avrebbe potuto essere evitata, lo dovrà fare seguendo non il criterio penalistico – non pertinente – della certezza oltre ogni ragionevole dubbio, ma seguendo il criterio civilistico del più probabile che non.”

Per concludere

La Cassazione ha accolto il ricorso dei genitori, cassando la sentenza e rinviando la causa alla Corte d’Appello di  provenienza in diversa composizione, che dovrà nuovamente valutare il caso alla luce dei principi sopra visti.

Ti servono maggiori informazioni sui temi del blog, oppure hai necessità di supporto in materia? Trovi qui i miei riferimenti di contatto.

Ci aggiorniamo presto con un nuovo, interessante argomento!

Nel frattempo, resta collegato ed iscriviti alla newsletter per non perdere i prossimi aggiornamenti.

A presto!

LEGGI IL DOCUMENTO

Cassazione Civile, Sez. III, n. 16737 del 17 giugno 2024