Paziente non segue le indicazioni dei medici in riabilitazione: chi risponde dei danni?

Nel caso in cui i danni riportati da un paziente siano conseguenza anche di una scelta autonoma del paziente stesso, divergente dalle istruzioni dategli dai sanitari, si applicano le regole in tema di concorso del creditore nella causazione del danno, con la conseguenza che il risarcimento va ridotto secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate.

Cari Lettori, innanzitutto buon Nuovo Anno 2024!

Apriamo il nuovo anno con un’interessante ordinanza della Cassazione Civile (n. 27151 del 22 settembre 2023) concernente il tema del concorso colposo del paziente nelle conseguenze dannose riportate in corso di riabilitazione e delle relative conseguenze.

Il caso

Una signora di 73 anni viene sottoposta ad un intervento di protesizzazione totale non cementata dell’anca. All’atto delle dimissioni, alla paziente viene prescritta la terapia riabilitativa, consistente in 30 sedute di fisiokinesiterapia, da eseguire con il supporto di un girello deambulatore.

La paziente contatta dunque uno studio polidiagnostico, che dà alla paziente la disponibilità di una propria fisioterapista per effettuare il prescritto ciclo di fisiokinesiterapia a domicilio. Sennonché, le sedute vengono svolte utilizzando, in loco del girello, una sedia da cucina, circostanza che determina l’effettuazione di movimenti abnormi a carico dell’anca della paziente e la sua nuova frattura. La paziente, addebitando la colpa degli eventi alla fisioterapista, instaura dunque una causa civile contro lo studio polidiagnostico per ottenere il risarcimento dei danni riportati.

Il Tribunale conferma la responsabilità dello studio polidiagnostico e lo condanna al risarcimento dei danni riportati dalla paziente, quantificati in circa 42.000 euro; la Corte d’Appello riforma però la sentenza, ritenendo la paziente corresponsabile del danno e riducendo l’importo dell’originaria condanna del 50%.

Vediamo qual è l’esito del ricorso in Cassazione.

I principi in tema di onere della prova

Nella sua motivazione, la Suprema Corte parte dall’esame dei principi applicabili in tema di onere della prova.

Nell’ipotesi in cui il paziente alleghi di aver subito danni in conseguenza di una attività svolta dal medico (eventualmente, ma non necessariamente, sulla base di un vincolo di dipendenza con la struttura sanitaria) in esecuzione della prestazione che forma oggetto del rapporto obbligatorio tra quest’ultima e il paziente, tanto la responsabilità della struttura quanto quella del medico vanno qualificate in termini di responsabilità contrattuale: la prima, in quanto conseguente all’inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria, che il debitore (la struttura) deve adempiere personalmente (rispondendone ex art. 1218 c.c.) o mediante il personale sanitario (rispondendone ex art. 1228 c.c.); la seconda, in quanto conseguente alla violazione di un obbligo di comportamento fondato sulla buona fede e funzionale a tutelare l’affidamento sorto in capo al paziente in contatto sociale avuto con il medico, che diviene quindi direttamente responsabile, ex art. 1218 c.c., della violazione di siffatto obbligo” (la legge Gelli-Bianco qualifica ora l’obbligazione del medico come di natura extracontrattuale, N.d.R.).

In conseguenza della qualificazione degli obblighi della struttura sanitaria come di natura contrattuale,

il criterio di riparto dell’onere della prova in siffatte fattispecie … è quello che governa la responsabilità contrattuale, in base al quale il creditore che abbia provato la fonte del suo credito ed abbia allegato che esso sia rimasto totalmente o parzialmente insoddisfatto, non è altresì onerato di dimostrare l’inadempimento o l’inesatto adempimento del debitore, spettando a quest’ultimo la prova dell’esatto adempimento”.

Pertanto,

ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, è onere del danneggiato provare il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’ insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre è onere della parte debitrice provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione; l’onere per la struttura sanitaria di provare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile sorge solo ove il danneggiato abbia provato il nesso di causalità fra la patologia e la condotta dei sanitari.”

L’applicazione dei principi generali al caso concreto

Dall’istruttoria svolta nel caso in commento è emerso che, all’atto delle dimissioni, alla paziente era stato prescritto di procurarsi il “girello” deambulatore e il rialzo per il water, che dunque la paziente avrebbe dovuto applicare, e che dette prescrizioni non erano state rispettate dalla stessa.

La Corte d’Appello ha correttamente motivato nel senso che l’uso improprio di una sedia per deambulare in luogo dell’apposito girello e l’omesso utilizzo del girello sono state conseguenze di una scelta autonoma della stessa paziente e, di conseguenza, è stato ravvisato un concorso di colpa della danneggiata nel danno lamentato.

Ai sensi dell’art. 1227 del Codice Civile (“concorso del fatto colposo del creditore”),

Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate.

Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.

Per concludere

Nel caso in commento, la scelta della Corte d’Appello – che ha ritenuto congruo stimare nella misura del 50% il peso della colpa della paziente nella causazione del danno – è stata ritenuta condivisibile e congrua da parte della Cassazione, la quale ha dunque confermato la sentenza d’appello, dichiarando inammissibile l’impugnazione e condannando la paziente al rimborso delle spese del giudizio ed al versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso.

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LEGGI L’ORDINANZA

Cassazione Civile, sez. III, n. 27151 del 22 settembre 2023