La posizione di garanzia del medico non specializzato

Anche il semplice laureato in medicina e chirurgia, abilitato all’esercizio della professione medica, è titolare di una posizione di garanzia ed è tenuto all’obbligo di osservanza delle leges artis in materia, ed in quanto tale risponde per gli eventuali danni causati nei confronti dei pazienti.

La consapevolezza dei propri oggettivi limiti in termini di esperienza e perizia deve fungere da limite all’assunzione di incarichi al di fuori della propria professionalità.

Oggi vi segnalo un’interessante sentenza della Corte di Cassazione (Cassazione Penale, Sez. IV, n. 10152 del 16 marzo 2021) concernente la posizione di garanzia del medico non specializzato e la concorrente responsabilità del primario per omessa vigilanza e controllo sul suo operato.

Il caso

Una signora viene sottoposta ad un intervento di revisione della cavità uterina, eseguito in anestesia totale. Nel corso dell’intervento, la paziente subisce un rallentamento dell’attività cardiaca fino all’arresto cardiocircolatorio della durata di circa cinque minuti.

In conseguenza di ciò la paziente riporta lesioni gravissime, con esiti permanenti ed irreversibili, e decederà anni dopo a causa di “insufficienza multiorgano su base settica a seguito di persistente coma vegetativo determinato da danno cerebrale anossico”.

Durante le indagini viene accertato che il fatto è stato conseguenza della ventilazione della paziente con solo protossido d’azoto puro, senza ossigeno, per quasi quindici minuti, a seguito del distacco del tubo dell’apparecchio anestesiologico, utilizzato nel corso dell’intervento, dalla presa a muro dell’ossigeno.

Per i fatti occorsi vengono indagati il medico che aveva svolto l’attività di anestesista nel corso dell’intervento – il quale, pur privo della relativa specializzazione, era stato regolarmente assunto dall’Ospedale a tempo determinato per lo svolgimento di tale attività, come consentito in base a normativa regionale in deroga -, nonché il primario del servizio di anestesia dello stesso Ospedale.

Al primo viene addebitata l’effettuazione di un monitoraggio incompleto della paziente durante l’anestesia, senza applicazione dello sfigmomanometro e senza monitoraggio dell’attività cardiaca; il mancato controllo dell’apparecchiatura (notoriamente carente in termini di sicurezza) prima di indurre l’anestesia e l’omessa verifica della corretta esecuzione della connessione dell’ossigeno; l’omissione di una costante e scrupolosa sorveglianza clinica della paziente.

Al secondo viene addebitato di aver consentito l’utilizzo di un’apparecchiatura obsoleta, non conforme alle regole dell’arte e priva di sistemi di allarme (sia acustico, che di chiusura dell’erogazione del protossido d’azoto in caso di mancanza dell’ossigeno), nonché di aver disatteso il suo dovere di vigilanza per aver lasciato che l’inesperto collega si occupasse in autonomia della paziente.

Vediamo qual è l’esito del ricorso in Cassazione, chiamata a valutare la fondatezza della condanna dei due medici per omicidio colposo.

L’inesperienza del medico non specializzato non incide sulla sua posizione di garanzia nei confronti del paziente

La Corte di Cassazione parte innanzitutto dalla considerazione dell’“incontestabile… stato di inesperienza ed imperizia del (…) rispetto agli anestesisti specializzati e strutturati, situazione che, consentendone l’inserimento nei turni di guardia diurni e la possibilità di prendere parte autonomamente agli interventi chirurgici …. costituiva una generale imprudenza ed un profilo di colpa sia per il medico sia per il primario”.

Sulla base della consulenza tecnica svolta in giudizio, menzionata in sentenza, “la tempistica necessaria affinché il medico possa maturare un’adeguata esperienza, tale da consentirgli di far fronte con la dovuta professionalità (cioè freddezza e lucidità imposta dai tempi strettissimi) ai problemi che possono insorgere nel corso dell’anestesia”, è indicata in “circa sette anni di pratica concreta dopo la positiva frequentazione della scuola di specializzazione. Già per tale inesperienza (…) non era in grado di fornire una risposta adeguata al grave problema verificatosi nel corso dell’intervento in esame, nonostante si trattasse di un intervento routinario di piccola chirurgia, esauritosi in pochi minuti”.

La scelta del medico, pertanto, di offrirsi per operare come un anestesista strutturato (e non di operare solo “in autonomia vincolata”, come prescritto dalla Legge Regionale), in mancanza di adeguata competenza professionale ed esperienza, era di per sé qualificabile come condotta colposa.

“In ogni caso, pur essendo un semplice laureato in medicina e chirurgia, abilitato all’esercizio della professione medica, egli era titolare di una posizione di garanzia e tenuto all’obbligo di osservanza delle leges artis in materia… riguardanti la responsabilità dell’anestesista in ordine al controllo preoperatorio dell’apparecchio di anestesia e delle sue componenti nonché in ordine alla continua e scrupolosa osservanza clinica del paziente, attraverso un monitoraggio costante delle sue funzioni vitali, indispensabili durante l’anestesia, al fine di evitare il rischio di “possibili incidenti tecnici”.

Dalle indagini condotte, era invece emerso che il medico

  • aveva completamente omesso il controllo dell’apparecchiatura, sia prima che durante l’intervento, e
  • aveva sottovaluto colposamente l’allarme del saturimetro (che indicava un crollo della saturazione) e gli altri sintomi presentati dalla paziente, “compromettendone definitivamente ogni possibilità di recupero”.

D’altra parte, le caratteristiche di funzionamento dell’apparecchiatura utilizzata, sia pur carente nei dispositivi di sicurezza, “non erano affatto sofisticate ma piuttosto elementari, circostanza che rendeva assai agevole la ricerca della causa del problema in corso” posto che, una volta verificata la corretta applicazione sia del saturimetro che della maschera, non era astrattamente ipotizzabile alcuna possibile causa alternativa di malfunzionamento rispetto a quella poi effettivamente riscontrata.

La consapevolezza da parte dell’imputato dei propri oggettivi limiti di esperienza e perizia… (avrebbe dovuto indurlo a non, NdR) offrirsi come anestesista in un intervento niente affatto urgente”.

Per approfondire il tema della posizione di garanzia del medico, si veda anche il mio precedente post “La posizione di garanzia del medico nelle attività multidisciplinari”.

La responsabilità del Primario della Divisione di Anestesia e Rianimazione

La Corte ribadisce inoltre la responsabilità del Primario per i fatti in commento, per essersi esposto ad un duplice profilo di grave colpa dovuto alla consapevolezza di due concomitanti fattori di rischio:

  • l’aver consentito l’utilizzo di un’apparecchiatura considerata ormai superata dalla comunità scientifica di riferimento e
  • l’aver consentito ad un medico non specializzato di operare in autonomia utilizzando uno strumento ed una metodica del tutto carente sotto il profilo della sicurezza, rispetto ai sistemi alternativi e non altrettanto rischiosi presenti in altre sale operatorie dell’ospedale.

Di nessun pregio, in particolare, viene reputato l’assunto per cui il medico non si trovasse in sede al momento dell’intervento:

quale dirigente e responsabile, fin dal 1987, della Divisione di Anestesia spettava a lui l’organizzazione del dipartimento, la gestione delle risorse strumentali ed umane atte a garantire l’efficienza del servizio, oltre alla vigilanza dei sanitari a lui sottoposti, al fine di prevenire ed evitare ogni possibile danno ai pazienti”.

Nel caso in commento il Primarioconsapevole dei rischi dell’apparecchiatura utilizzata in reparto – ne avrebbe dovuto vietare l’utilizzazione perché rischiosa per il paziente e soprattutto avrebbe dovuto vigilare affinché il collega – privo di competenza specialistica e con limitatissima esperienza sul campo – non ne facesse uso: “l’utilizzo di una strumentazione obsoleta da parte di un medico inesperto costituiva una situazione di rischio che doveva essere gestita dal dirigente medico”.

Nei confronti del medico in posizione apicale non può configurarsi una responsabilità di posizione, in contrasto col principio costituzionale di personalità della responsabilità penale, ma solo a condizione che questi abbia correttamente svolto i propri compiti di organizzazione, direzione, coordinamento e controllo… condizione che nella specie non si è verificata”.

Sul tema della responsabilità del medico in posizione apicale, vedi anche il mio post “La responsabilità del medico apicale per l’operato dei collaboratori di reparto”.

Sulla base di quanto precede, i ricorsi dei due medici sono stati rigettati e gli stessi sono stati altresì condannati al rimborso delle spese di giudizio, nonché al pagamento di un’ammenda.

Ci aggiorniamo la prossima settimana con un nuovo, interessante argomento!

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A presto!

LEGGI LA SENTENZA

Cassazione Penale, Sez. IV, n. 10152 del 16 marzo 2021