Prestazioni professionali pubblicizzate come low-cost: odontoiatra sospeso

In tema di responsabilità disciplinare del medico, l’abrogazione del divieto di svolgere pubblicità informativa per le attività libero-professionali non ha determinato il venir meno del divieto deontologico di fare informazione sanitaria non trasparente, rigorosa e prudente, non rispettosa nelle forme e nei contenuti dei principi propri della professione medica, non veritiera, corretta e funzionale all’oggetto dell’informazione, equivoca, ingannevole e denigratoria.

Oggi vi segnalo una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 25820 del 29.9.2024) sul tema sempre interessante della pubblicità informativa professionale.

Il caso

Un odontoiatra, già sanzionato con la censura dall’Ordine professionale di appartenenza per pratiche pubblicitarie poco trasparenti, viene nuovamente sanzionato due anni dopo – questa volta, con la sospensione di quattro mesi – per aver effettuato attività pubblicitarie dei propri servizi giudicate incompatibili con la dignità ed il decoro professionale.

L’impugnazione del provvedimento avanti alla Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie viene rigettata. Vediamo qual è l’esito del ricorso in Cassazione.

Le modalità pubblicitarie contestate

Ripercorriamo brevemente i dettagli della vicenda.

All’odontoiatra in questione è stata contestata la violazione degli art. 55 e 56 del Codice Deontologico (nella versione applicabile all’epoca dei fatti), per avere attuato “un’informazione sanitaria non trasparente, rigorosa e prudente, non rispettosa nelle forme e nei contenuti dei principi propri della professione medica, non veritiera e funzionale all’oggetto dell’informazione, equivoca, ingannevole e denigratoria, in violazione dei principi di correttezza informativa, di decoro professionale e di rigore scientifico.”

In particolare:

  • l’attività professionale era stata pubblicizzata utilizzando volantini, cartelloni pubblicitari stradali e litografie affisse sul retro di mezzi pubblici per il trasporto urbano, sui quali campeggiava, oltre all’indicazione di un numero verde, il solo nome di una società, riconducibile allo stesso medico ma che risultava, in realtà, non autorizzata ed inattiva;
  • la grafica delle litografie, dei volantini e dei cartelloni enfatizzava solo il basso costo economico delle prestazioni, utilizzando termini quali “servizio low cost” e “gratis”;
  • veniva poi pubblicizzata la realizzazione di impianti, corone e protesi mobili, cioè di dispositivi che, secondo la normativa applicabile, erano invece dispositivi su misura, fabbricati in base a prescrizione medica e con caratteristiche specifiche di progettazione perché destinati ad essere utilizzati soltanto per un determinato paziente.

Errare humanum est, sed perseverare…

Nel merito della vicenda, la Corte di Cassazione nota innanzitutto che:

  • già nel 2012 l’Ordine di appartenenza aveva censurato l’odontoiatra in questione “per aver effettuato pubblicità sotto pseudonimo, non comparendo il suo nominativo nella pubblicità effettuata” ad opera dell’inesistente società. La sanzione non era stata impugnata dal professionista;
  • nonostante l’irrogazione della suddetta sanzione, non solo l’odontoiatra non aveva sottoposto la sua nuova iniziativa pubblicitaria alla verifica dell’Ordine territorialmente competente (come allora richiesto), ma aveva “perseverato” nella stessa condotta già giudicata contraria ai principi deontologici, continuando ad utilizzare lo “schermo” dell’inesistente società per presentare al pubblico i suoi messaggi promozionali.

Questa condotta viene correttamente considerata indipendente dalla precedente e dunque fonte di autonoma responsabilità professionale, anche in un’ottica di reiterazione dell’illecito deontologico.

Le regole in tema di pubblicità informativa

Ricordiamo che, in tema di pubblicità informativa, l’art. 4 del Regolamento di riforma degli ordinamenti professionali (D.P.R. 3 agosto 2012, n. 137) stabilisce che

“1. È ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni.

2. La pubblicità informativa (…) dev’essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo del segreto professionale e non dev’essere equivoca, ingannevole o denigratoria.

3. La violazione della disposizione di cui al comma 2 costituisce illecito disciplinare, oltre a integrare una violazione delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 6 settembre 2005, n. 206, e 2 agosto 2007, n. 145.”

Anche a seguito dell’abrogazione del divieto di pubblicità informativa dei professionisti sanitari, introdotta dal cd. “Decreto Bersani” del 2006, gli Ordini professionali conservano dunque il potere di verifica (e di irrogazione delle sanzioni disciplinari in caso di violazione), della trasparenza e della veridicità del messaggio pubblicitario.

Permangono inoltre i divieti previsti dagli art. 55 e 56 del Codice Deontologico, e quindi il dovere deontologico di fare un’informazione sanitaria trasparente, rigorosa e prudente, rispettosa nelle forme e nei contenuti dei principi propri della professione medica.

L’applicazione delle norme al caso concreto

Nel merito del caso, l’odontoiatra sostiene che l’uso corretto della pubblicità informativa non escluda l’indicazione delle tariffe delle prestazioni erogate, salvo il caso in cui quest’ultimo elemento costituisca il contenuto esclusivo del messaggio; sarebbe inoltre consentito reclamizzare prestazioni gratuite, purché episodiche, al fine di ottenere la fidelizzazione del cliente. Infine, il potere di irrogare sanzioni disciplinari sarebbe esercitabile dall’Ordine soltanto quando il messaggio non sia veritiero e in violazione del principio della trasparenza, circostanze che nella specie non sarebbero occorse.

Sul punto, tuttavia, la Cassazione conferma la valutazione espressa nei precedenti gradi del procedimento deontologico, all’esito dei quali è stata esplicitamente giudicata

in contrasto con i principi di correttezza e trasparenza una comunicazione basata prevalentemente su aspetti commerciali (…), attraverso la prospettazione di sconti non meglio specificati e non parametrati a un prezzo base, modalità questa indispensabile a tutelare il consumatore e a indirizzarlo sulla base di una scelta libera e consapevole, così disattendendo la ratio della normativa in materia pubblicitaria”.

Viene inoltre confermato il giudizio secondo cui

“la grafica delle litografie e dei volantini e dei cartelloni era tale da far risaltare ed enfatizzare il dato economico e il contenuto risultava equivoco e suggestivo tale da attrarre la clientela con costi molto bassi, incompatibili con la dignità e il decoro della professione”…

“Termini quali “servizio low cost” e “gratis” … avevano carattere prettamente commerciale, tendenti a persuadere il possibile cliente attraverso concetti comunicativi emozionali, basati su elementi eccedenti l’ambito informativo previsto dal Codice deontologico e che concretizzavano un tentativo di accaparramento di clientela attraverso un mezzo illecito, con un’immagine ridicolizzante la professione.”

Per concludere

Alla luce di quanto sopra, il ricorso dell’odontoiatra è stato rigettato e la sospensione confermata.

Se il tema è di tuo interesse, vedi anche il mio precedente postQuando la pubblicità informativa del medico diventa promozione commerciale (vietata) di prodotti?”.

Ti servono maggiori informazioni sui temi del blog, oppure hai necessità di supporto in materia? Trovi qui i miei riferimenti di contatto.

Ci aggiorniamo presto con un nuovo, interessante argomento!

Nel frattempo, resta collegato ed iscriviti alla newsletter per non perdere i prossimi aggiornamenti.

A presto!

LEGGI IL DOCUMENTO

Cassazione Civile, Sez. II, n. 25820 del 29.9.2024