Al dirigente del reparto, assente dal servizio per ferie, non può essere attribuita, a titolo di responsabilità oggettiva, per il semplice ruolo di primario ricoperto, la responsabilità per la ritardata diagnosi concernente un paziente durante la sua assenza, considerata l’obiettiva impossibilità di verificare in concreto cosa stia avvenendo al paziente
Oggi vi segnalo un’interessante sentenza della Corte Appello Milano (n. 3376 del 18 novembre 2021) concernente i confini dell’obbligo di garanzia gravante sul primario.
Il caso
Una paziente, in conseguenza delle complicazioni sofferte a seguito di un intervento di “ureterorenoscopia ed estrazione con cestello di calcolo dell’uretere”, subisce un danno importante. La paziente agisce dunque in giudizio nei confronti della struttura sanitaria presso la quale è stata operata, ed il Tribunale condanna quest’ultima a risarcirle l’importo di Euro 49.597,00.
La struttura paga la paziente e poi agisce in regresso nei confronti del Responsabile di Unità Operativa ove la paziente è stata operata. Quest’ultimo si costituisce in giudizio contestando che, nei giorni in cui si erano manifestate le complicazioni, egli era assente per ferie. Il Tribunale accoglie le domande della struttura contro il medico.
Vediamo qual è l’esito del giudizio di appello.
La posizione del primario
La posizione addotta dal primario è lineare:
- il primario aveva effettivamente eseguito l’intervento di ureterorenoscopia in questione, ma il CTU nominato nel primo procedimento aveva altresì accertato la corretta esecuzione di tale intervento
- i problemi sofferti dalla paziente erano ricollegabili ad una complicanza – fistola urinosa – insorta durante il decorso post-operatorio, non addebitabile a colpa del chirurgo
- negli stessi giorni in cui era insorta la complicanza, il primario era in ferie, e la complicanza stessa era stata trattata in modo imprudente e non diligente da parte dei sanitari presenti in struttura
- conformemente alla giurisprudenza della Suprema Corte in materia, il primario ospedaliero in ferie al momento del contatto sociale, del ricovero e dell’intervento, non può essere chiamato a rispondere delle lesioni subite da un paziente della struttura ospedaliera solo per il suo ruolo di dirigente, non essendo configurabile una sua responsabilità oggettiva.
… e la posizione della struttura sanitaria
Diversa è la posizione della struttura sanitaria.
Secondo quest’ultima, la responsabilità del primario ospedaliero nel caso di specie trova il suo fondamento nella posizione di garanzia da lui rivestita, ossia nell’obbligo a suo carico di vigilare sull’operato del personale sanitario, tecnico ed ausiliario operante nel reparto di sua competenza, anche durante un periodo di assenza.
Nel caso in commento, la vigilanza avrebbe dovuto realizzarsi anche attraverso il reperimento di informazioni sulle iniziative intraprese dai medici cui erano affidati i pazienti, la loro verifica ed eventuale correzione e l’assunzione delle necessarie iniziative (in tal senso Cass. Civ., n. 22338 del 22 ottobre 2014).
La decisione di primo grado
Nella sua sentenza, il Tribunale si affermava d’accordo con la giurisprudenza citata dal primario, ma non la trovava applicabile al caso di specie in quanto:
- il primario non era stato assente durante il contatto sociale, il ricovero e l’intervento principale della paziente, ma -anzi- aveva provveduto in prima persona ad eseguire l’intervento principale
- egli, in qualità di responsabile dell’Unità Operativa di Urologia ed Andrologia dell’Ospedale, era gravato di un obbligo di vigilanza sull’attività e sull’operato del personale sanitario, tecnico ed ausiliario in servizio nel reparto di sua competenza
- rispetto ai pazienti ivi ricoverati, egli avrebbe dovuto definire ex ante i criteri diagnostici e terapeutici che avrebbero dovuto essere osservati (anche durante la sua assenza) dai colleghi
- l’obbligo di vigilanza gli imponeva la puntuale conoscenza delle situazioni e delle evoluzioni cliniche, soprattutto se riferite ad interventi dallo stesso eseguiti, anche durante il periodo di assenza, e la necessità di reperire informazioni precise sulle iniziative intraprese dai medici cui aveva affidato la paziente, imponendo le direttive da seguire.
Per tali ragioni il Tribunale riteneva sussistente in capo al medico una responsabilità – seppure in concorso con i sanitari presenti durante il periodo post-operatorio della paziente – per omessa vigilanza sull’attività e sull’operato del personale in servizio nel reparto di sua competenza, e lo condannava in via di regresso a versare a favore della struttura sanitaria l’importo sopra visto.
La ricostruzione dei fatti in grado d’appello
Dalla ricostruzione degli eventi – come accertati dalla CTU del procedimento instaurato dalla paziente – era emerso che:
- l’intervento originario era stato eseguito dal primario e da un collega (nel ruolo di secondo operatore) in data 29 marzo
- il primario si era poi assentato per ferie tra il 31 marzo ed il 6 aprile
- in data 1° aprile, i collaboratori avevano tempestivamente diagnosticano l’occorrenza di una fistola uretrale e conseguentemente programmato una nefrectomia per il giorno seguente
- l’intervento veniva tuttavia sospeso a seguito della constatazione dell’interruzione del flusso del drenaggio, assumendo che il problema si fosse spontaneamente risolto.
In realtà, l’interruzione del flusso era imputabile ad un transitorio blocco del tubo di drenaggio. Vi era dunque stata un palese mancanza dei sanitari in quel frangente, consistente nel non tenere monitorato in concreto il drenaggio e nel non aver indagato, con la diligenza specifica richiesta dalla prestazione, a cosa fosse in realtà dovuta l’interruzione del flusso.
Ma di questa negligenza va ritenuto responsabile il primario?
Nessuna responsabilità per il primario a fronte di una corretta organizzazione del reparto
Secondo la Corte d’Appello, la responsabilità del primario va esclusa, considerato che:
- il primario, prima di assentarsi dalla clinica per un periodo di ferie, aveva affidato la paziente alle cure del personale sanitario presente, e specificamente dello specialista urologo che l’aveva assistito nell’intervento del 29 marzo
- il danno subito dalla paziente non era ascrivibile all’intervento di ureterorenoscopia, ma ad una successiva, non corretta interpretazione, da parte del personale sanitario presente, del drenaggio vuoto
- questo errore, tuttavia, non derivò da una carente definizione dei ruoli del personale sanitario presente, né da qualsivoglia deficit organizzativo del reparto, né da una carente o assente definizione dei criteri diagnostici e terapeutici ma, appunto, da una errata interpretazione di una circostanza di fatto da parte dei sanitari presenti.
Secondo la Corte d’Appello, la colpa del sanitario che ha in carico la paziente non può estendersi al primario a causa della sua estraneità al fatto lesivo. In altri termini,
“al dirigente del reparto in ferie non può essere attribuita, a titolo di responsabilità oggettiva, per il semplice ruolo di primario ricoperto, la responsabilità per la ritardata diagnosi. Nel caso in questione il primario, risultando assente dal servizio per ferie, era infatti nell’obiettiva impossibilità di verificare in concreto cosa stava avvenendo al drenaggio. Poiché la responsabilità civile attiene comunque all’imputabilità soggettiva dell’inadempimento, che nella fattispecie è stata accertata nel momento in cui si è bloccato il drenaggio, non può ravvisarsi nel primario assente al momento in cui fu tenuta la condotta colposa dei sanitari.”
In conclusione la Corte ha dunque accolto l’appello del primario, reputandolo non responsabile dei fatti in questione, e ha condannato la struttura al rimborso delle spese legali.
Ci aggiorniamo la prossima settimana con un nuovo, interessante argomento!
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