L’esecuzione della prestazione terapeutica non può garantire la certezza della guarigione

L’esecuzione della prestazione terapeutica non può offrire al suo destinatario la certezza del raggiungimento del risultato della guarigione: tale costruzione non corrisponde alla realtà delle cose ed è in contrasto con la natura dell’obbligazione del medico, che appartiene alla categoria delle “obbligazioni di diligenza professionale”, nelle quali il sanitario può e deve porre in essere una condotta conforme alle leges artis, ma generalmente non è in grado di garantire l’esito della cura.

Apriamo il nuovo anno con un’interessante ordinanza della Corte di Cassazione (la n. 26905 del 26 novembre 2020) concernente la natura della prestazione professionale medica e l’onere della prova che grava sul paziente che lamenti di aver subito dei danni in conseguenza di un’allegata violazione professionale da parte di un sanitario.

 

Il caso

Un signore, a seguito di una caduta da cavallo, viene trasportato presso il Pronto Soccorso del locale Ospedale, dove gli viene diagnosticata una contusione emitorace destra, senza riscontro di fratture.

In seguito, il paziente si sottopone ad accertamenti presso uno studio radiologico privato, dove gli viene invece diagnosticata la frattura della clavicola e di alcune costole.

Il paziente agisce dunque in giudizio contro l’Ospedale per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa dell’errore diagnostico del personale del Pronto soccorso.

Sia il Tribunale sia la Corte d’Appello rigettano le domande del paziente a causa della mancata produzione, da parte sua, delle immagini radiografiche, affermando che la consulenza tecnica d’ufficio non avrebbe potuto sopperire all’inerzia della parte a produrre i documenti su cui basare le proprie domande.

Il principale motivo di ricorso in Cassazione del paziente

Nel suo ricorso in Cassazione il paziente, ribadendo i motivi già posti a base dell’appello, contesta l’errore in cui sarebbero incorse le corti di merito in punto di onere della prova in giudizio e nesso causale.

Infatti, posto che la causa aveva ad oggetto un’ipotesi di responsabilità contrattuale derivante dall’esecuzione non diligente della prestazione medica:

– il paziente aveva correttamente adempiuto l’onere della prova a suo carico, provando l’esistenza di un contratto con la struttura (attraverso la produzione del rapporto del Pronto soccorso) e l’aggravamento della patologia sofferta a seguito dell’operato dei sanitari del Pronto Soccorso (attraverso la produzione del referto dell’esame effettuato presso lo studio radiologico privato e la consulenza medica di parte);

– per parte sua, per andare esente da responsabilità l’ospedale avrebbe dovuto dimostrare che l’inadempimento (cioè l’errata diagnosi dei sanitari) era avvenuto senza colpa, cosa che nel caso di specie non era avvenuta.

L’onere della prova nelle obbligazioni contrattuali

L’argomentazione dedotta dal paziente si basa su un noto precedente giurisprudenziale (Cass. Sez. Unite, n. 13533 del 30/10/2001) secondo cui, nell’ambito della responsabilità da contratto, il creditore-danneggiato può agire per il risarcimento del danno limitandosi a dedurre l’esistenza del contratto e ad allegare l’inadempimento del debitore, in quanto condotta causalmente idonea a determinare l’evento lesivo.

La peculiarità dei rapporti di natura professionale

Sennonchè, secondo l’ordinanza oggi in commento, tale principio non è applicabile a quei rapporti contrattuali cd. professionali, in cui il “risultato” cui tende il creditore non è automaticamente assicurato dalla mera esecuzione della prestazione (anche se in sé esente da errori o inesattezze) oggetto della obbligazione.

In tali casi, secondo la Corte, è infatti necessario distinguere due diversi profili del rapporto obbligatorio:

  • un interesse primario della parte, rappresentato dall’interesse del paziente al ripristino o miglioramento o non aggravamento delle sue condizioni di salute;
  • un interesse strumentale, che ha per oggetto la corretta esecuzione della prestazione tecnica, in ossequio alle leges artis, da parte del sanitario.

L’allegazione da parte del paziente dell’inadempimento del sanitario può essere idonea a dimostrare l’insoddisfazione dell’interesse strumentale (cioè la scorretta esecuzione dell’intervento da parte del sanitario, in relazione a quanto previsto dalle leges artis); ma non dimostra necessariamente anche il collegamento causale tra la condotta del sanitario e la lesione dell’interesse primario del paziente al miglioramento (o ripristino, o non aggravamento) delle sue condizioni di salute.

Il nesso causale nelle obbligazioni professionali diligenza

Nelle cd. “obbligazioni professionali diligenza“, pertanto, è necessario ricorrere alla regola generale che impone al danneggiato di fornire la prova anche del nesso di causalità materiale tra la condotta del sanitario (lesiva, beninteso, dell’interesse strumentale) e l’evento lesivo della salute, che costituisce l’oggetto dell’interesse primario.

“Diversamente opinando, si dovrebbe riconoscere all’esecuzione della prestazione terapeutica la “certezza del raggiungimento del risultato” della guarigione e, conseguentemente, al suo inadempimento, la certezza della mancata attuazione del risultato terapeutico sperato; ma tale ricostruzione non corrisponde alla realtà delle cose ed è in contrasto con la natura dell’obbligazione del medico, che appartiene alla categoria delle “obbligazioni di diligenza professionale”, nelle quali il sanitario può e deve porre in essere una condotta conforme alle “Ieges artis”, ma generalmente non è in grado di garantire l’esito della cura”.

Il “doppio ciclo causale”

Le conseguenze giuridiche di tale ricostruzione sono sintetizzate nel cd. “doppio ciclo causale”, sulla base del quale:

– è onere del paziente che agisce in giudizio dimostrare il nesso di derivazione causale tra il peggioramento del suo stato di salute o la sua mancata guarigione e la condotta tenuta dal medico;

– solo se ed in quanto tale prova sia fornita dal paziente, sarà onere del professionista – per liberarsi da responsabilità – di offrire la prova dell’esistenza di una causa esterna alternativa, imprevedibile ed inevitabile, che ha causato l’evento lesivo, ovvero che l’inadempimento (inteso quale divergenza della prestazione rispetto alle “leges artis”) è avvenuto per una causa sopravvenuta di impossibilità della prestazione, ex art. 1218 c.c.

Sulla base di quanto precede, la Corte ha condivisibilmente dichiarato l’inammissibilità del ricorso, condannando il paziente al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Ci aggiorniamo la prossima settimana con un altro, interessante argomento!

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A presto!

LEGGI L’ORDINANZA

Cass. Civ., Sez. III, n. 26905 del 26 novembre 2020